27 dicembre 2015

Fantasmi

Ho sentito un rumore.
Ieri è caduto un quadro senza motivo, e per fortuna c'era una persona insieme a me a confermarmi che era qualcosa di impossibile.
Quando resto solo ho molta paura.
Ho paura che la mia solitudine venga intaccata, che improvvisamente qualche presenza umana o inumana si metta a disturbare prepotentemente la mia quiete.
La maggior parte delle volte quella presenza sono io.
Temo da sempre di non saper gestire la mia psiche, che momentaneamente affido ad occupazioni sciocche o impegnate (c'è differenza?) basta che rimandino la coscienza di Me, il dialogo con me stesso.
Quando resto solo, ho paura che qualsiasi rumore sia immaginato.
Che qualsiasi proiezione mentale sia reale.
Che la finestra aperta sia promessa di facili soluzioni a tutti i miei problemi, a tutte le mie domande.
Eppure ho bisogno di tutto questo.
Ho bisogno dei miei Fantasmi.
All'inizio, anni fa, credevo fossero ostili e sintomo di una precoce follia.
Ora mi sono molto familiari, e nonostante non li comprenda e li tema (sono raccapriccianti, bianchi e blu come un quadro di Picasso che prende forma di fronte ai tuoi occhi stanchi), se rimango zitto passano e quasi quasi mi insegnano qualcosa. Mi insegnano a star zitto, che è già una gran cosa.
Ho paura dei miei Fantasmi.
Cosa mi faranno diventare? Se sono proiezioni del futuro, perchè mi vedo così Bianco & Blu, così triste nel mio domani, che rimando e rimando, senza voler scegliere tra una solitudine impegnata e un confortante isolamento affollato.
Fantasma io, che non ho nemmeno il coraggio del mio nome e non so legarmi alla terra, al tempo, alle persone.
Vivo nella coscienza che nulla dura e tutto è perdibile, ma quanto può essere consolante aver ragione su ovvietà del genere? Meglio perseverare nell'errore, in una religione artificiale, meglio esser sacerdote di un qualsiasi minestrone o, comprendendone la banalità, provare a esserne mediatore?
Io non amo scrivere.
Lo faccio ormai da sempre, eppure non ho mai pensato di camparci.
Se diventasse il mio mestiere, probabilmente sarebbe la cosa più congeniale alla mia personalità: il Ghost Writer di me stesso.
E continuando ad evocar Fantasmi, mi vedrei sempre più pallido e bluastro, e finalmente diventerei un «sogno dentro un sogno».

17 luglio 2015

Breakfast on Elm Street

«Mamma?»
«Dimmi tesoro»

Timmy, dal tavolo, giocava col cucchiaio e i suoi cereali. La fame non mancava, però era distatto da quel pensiero fisso, e continuava ad affondare quelle pepite di miele nel suo latte, rimuginando la domanda: che luce accecante quella mattina! e la cucina, col suo bianco insistente, sembrava amplificarla.

«Ma tu lo sapevi che lo zio Charles c'ha il museo in casa?»
«Certo! Hai visto che bei fossili?»

Margareth si sporse un poco dallo sgabello, tanto il giornale propinava le solite sciocchezze; molto meglio capire se Tim avesse apprezzato la "gita" a casa di suo fratello, magari lo poteva lasciare anche il prossimo weekend. Il "museo" altro non era che uno sgabuzzino con un paio di teche dove Charlie teneva ricordi di antiche passioni.

«Tuo zio doveva diventare un grande archeologo» continuò Maggie «poi però il problema all'orecchio gli impedì di viaggiare come avrebbe voluto, con l'aereo»
«Eh! Me l'ha detto!! Mi dicette che poi per questo è andato in Grecia in nave!»
«"disse" Timmy, si dice "disse". Ricordo quando tornò dal viaggio in europa, io ero grande come lo sei tu ora»
«Così?» fece Timmy mostrando tutte le dita della mano «Sì, esatto».

Un improvvisa secchezza delle fauci fece deglutire Margareth rumorosamente, tanto da soreggiare persino l'odiato succo d'ananas, provvidenzialmente la bibita più vicina sul piano cucina.

«Cosa ti ha fatto vedere lo zio?»
«Tutti i fossili di pesci!! Poi.... gli ossi delle collane e gli insetti morti!! Ah! e poi mi ha fatto vedere la testa nel baule!»
«Ti... la testa?»
«Sì! cioè, lui è andato a rispondere al telefono, allora io apersi il baule con le scritte rosse.»
«E.. hai..»
«Poi la testa ha aperto gli occhi!! Ma non ha fatto paura, sai?»
Maggie aveva abbassato gli occhi e, rialzando lo sguardo verso il figlio, con un'inquieta calma gli chiese:
«L'hai vista negli occhi?»
«Sì mamma»
«Capisco»

Maggie lasciò passare pochi minuti. Poi col grosso coltello da cucina preso dal tagliere si scagliò sul suo unico figlio e ne straziò le carni. Le pepite di miele ora galleggiavano in una densa e nauseabonda pastura bianca e rossa.


*appunti di un incubo mattuttino. Il Dormiveglia ha l'oro in bocca.

10 giugno 2015

Santa Sophia

Musica sputata dalle Sirene,
ma stavolta non voglio star malato:
c'è colore che scorre nelle vene


avere sangue blu è un reato.
E fradicio rinnego la mia carne
rossa, vile: come polline nel Prato,


che, sempre evitando di mangiarne,
acchiappo col gesto di una mano,
trasformando in Terzine notturne.

16 aprile 2015

Il sosia

Sono stanco distrutto, non ce la faccio più.
Il male di scrivere ho incontrato.
Non riuscirò mai a capire se c'è della coscienza dietro a queste folgori autodistruttive.
Ho bisogno di uno psichiatra, qualcuno che confermi o smentisca questa schizofrènia.
O forse è solo bisogno di parlare con qualcuno.
Quanto è deprimente rendersi conto che non ho la forza nemmeno di comunicare le mie disgrazie; i miei vagiti non sortono nessun effetto.

è come trovarsi davanti ad una situazione speculare. E odio tutto quello che vedo.
Detesto chi è spensierato, perchè sono pieno di pensieri.
Odio la mia faccia, che continuo a strappare sulla carta, ma non se ne va, come maschere infinite e pesanti.
Odio la mia inguaribile distrazione che mi porta a dover rimediare, e sentirmi come padre di me stesso.
E poi la dolce, voluttuosa, provocante voglia di arrendersi, sparire per un poco, sparire per un molto, firmare un contratto col Nulla a tempo indeterminato.
Sono stanco di me, così prevedibile, puntualemente in ritardo, mai qualcosa di ordinario, tipo rispettare le scadenze, o essere referenziale.
Noioso come uno specchio.

Chissà cosa pensa l'altro me. Forse mi ama al contrario di me. Forse è amato più di me, riesce ad essere un tutt'uno tra il colore dei suoi occhi e il Colore nei suoi occhi. Dilemma.

L'unica soluzione che trovo in questi momenti di sconforto terrificante è peggiorare le cose: un po' di cancellature, qualche radicalismo tipo protesta contro me stesso, il padrone.
Questo mondo virtuale non fa per me, anche perchè ci sono sempre vissuto.
Che fatica ricominciare, sono esausto..

20 maggio 2014

Cappuccetto Rosso

C'era una volta.
Un incipit che racconta già tutta una storia. E forse La storia. Ma stavolta mi affido meglio alla fantasia.
C'era una volta una bambina gentile e curiosa come uno scoiattolo, dai capelli neri neri e le lentiggini sul naso.
Piaceva a tutti, sopratutto alla mamma, anche se ogni tanto la sgridava perchè si alzava sempre tardi per la scuola, ma le voleva sempre un mondo di bene. La bambina aveva un nome che non ricordo, e forse nemmeno lei, perchè ormai tutti si erano abituati a chiamarla Cappuccio rosso; questo buffo nomignolo le era rimasto incollato da quando in piscina si mise una vecchia e insolita cuffia rosso fuoco, attirando l'attenzione di tutti! LEi chiaramente non voleva, ma il babbo non le voleva comprare una blu (suo colore preferito!) e di tela come i suoi amichetti: "usa quella che abbiamo in casa!" le disse il suo vecchio "è stata usata pure dalla nonna, è ancora buona!". Inutile dire che Cappuccio Rosso malsopportò questa costrizione, e ancor di più il suo ribattezzamento. Ma tanto ormai non ci poteva fare nulla e saggiamente ci passò sopra.
Un giorno mentre Cappuccio stava giocando con le formiche (da grande voleva fare l'entomologa!") la mamma la chiamò e le disse: "Cappuccio vieni qui! Presto: portà questa medicina alla nonna malata, e un poco di olio che ha fatto il babbo quest'anno, che le piace tanto. Sta attenta a fare la stessa strada che facciamo sempre, che sennò fai tardi e poi rabbuia. Te la rciordi la strada, vero?".
"Ma certo mamma" rispose la bambina mentendo spudoratamente.
Ad ogni modo la sua risposta fu convincente, e la nostra lentigginosa eroina si lanciò col motorino per le strade della campagna.
Il destino a volte ha la forma di un serpente d'asfalto, e di paesaggi sempre uguali: l'avrete capito subito che Cappuccio si perse la strada, e girò a vuoto per un bel pezzo. Ha incontrato le persone e gli animali più strani in questo giro allungato: lupi, drogati, cannibali, fate, pescatori, arpie, falegnami,... a volte senza capire chi erano le bestie e chi gli uomini. Forse è ancora lì che gira, non ho più saputo la fine di questa favola, per altro senza importanza, che potremmo anche chiamare Vita.
Chissà se è riuscita a portare il fagotto alla nonna, opure se vinta dalla stanchezza è tornata indietro. Chissà se ha ritrovato la strada di casa. Forse la nonna non c'è più, forse nemmeno Cappuccio Rosso.
Forse non ci sono mai state.
Ma mi piace pensare che se fosse, il viaggio, lo smarrimento, la sconfitta, la vergogna o la vittoria e la gioia di un panino all'olio sia stato motivato non da una cosa astratta come la famiglia.
Ma da una cosa vera come la famiglia.

25 dicembre 2013

Il Grigio

A Natale mi fa sempre visita qualche fantasma.
Ricordi, rimorsi, semplici incubi, non sempre neri e cupi, a volte tenui e invitanti addirittura. Grigi. L'ho sempre visto come un colore rassicurante, incapace di ferire, anche se non procura esattamente piacere. Ed ora eccoli qui, questi fantasmi grigi che mi ronzano sulle spalle, non ci posso nemmeno parlare.
Ho sempre avuto una repulsione e attrazione per le persone, non si può nascondere, e forse Grigio è proprio il mio essere. Quest'autunno, dopo anni di isolamento cocciuto, ho tentato di avvicinarmi alla volgarità dei social network, ma in realtà era tutto un percorso interessato. Però mi chiedo... come fanno le persone a vivere con tanta semplicità? Tutti ipnotizzati? Tutti mentono perchè ne soffrono quanto me?
Mi sono sempre definito un sacco di cose, dato mille nomi, alcuni datimi da altri ma sempre accolti, ma alla fine io non ci sono mai. Per anni mi sono scambiato per qualcun'altro.
Dico da un po' di tempo a me stesso, e credo di averlo scritto pure su queste pagine, che l'anno che sta arrivando lo sento come ultimo. Forse un bene, se lo penso come un traguardo, eppure ne ho così paura.. Arrivo ad un traguardo e non ho nemmeno un numero sulla pettorina, nemmeno un nome..
Come "La Cosa" di Gaber, l'impossibilità di dare una nomenclatura all'amore forse si associa alla mia indefinizione. Non so come mi chiamo, perchè forse non mi amo. O non riesco ad amare. Parlando con chi sa ascoltare, ho realizzato che trovo più sicurezza e concretezza nella parola "Dio" che non nella parola "Amore". Credo più in Dio che nell'Amore. I conti non tornano.
Ovvio allora che la gente non mi ama. Mi ammira magari, la intrigo a sufficienza. Ma sa dirmi come mi chiamo? Mi manca la giusta empatia. Sono ancora troppo concentrato su di me e troppo distaccato dal circostante.
Mah..
Forse devo solo smettere. Smettere tutto, smettere di pensare. Pensare troppo fa venire il cancro.
Semplicità e stare con gli altri non è per niente facile. Ma vale anche per l'amare, vale anche per vivere. Eppure si fa.
Dopotutto anche il Grigio è un colore, poetico per giunta. Non ha senza ambire ad annacquarmi di bianco o sprofondare nel nero, perchè sono tentativi a vuoto, mescolo mescolo quanto mi pare ma rimarrà sempre Grigio. E forse un giorno riuscirò a parlare con questi stramaledetti fantasmi.